Rimedi naturali per curare gli amici a quattro zampe: l’intervista al docente Michael Huffman
Il cosiddetto “rimedio della nonna”, la cura a base di erbe mediche e via dicendo, sta guadagnando una fetta sempre piu’ consistente del mercato dei farmaci, al punto che il 70% delle medicine introdotte negli Usa negli ultimi 25 anni derivano da composti naturali. Non se ne stupirebbero, nemmeno se avessero le facolta’ per farlo, la maggior parte degli animali che da sempre usano la foresta come una farmacia en plain air. Uno dei primi a scoprire come gli animali si autocurino e’ stato Michael Huffman, docente presso il «Primate Research Institute» dell’Universita’ di Kyoto in Giappone, che sara’ ospite del Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino il 28 ottobre e del Festival della Scienza di Genova il 30.
Anche se non riguarda in modo specifico ed esclusivo i nostri pet, l’argomento e’ sembrato a noi di PetPassion estremamente interessante. Di seguito un estratto dell’intervista che il quotidiano La Stampa ha sottoposto al ricercatore.
Professore, come pensa che gli animali abbiano evoluto questa abilita’ da «farmacisti»?
«Alcune piante producono i “metaboliti secondari”, sostanze nocive di vario genere, che hanno il compito di scoraggiare eventuali insetti ed erbivori predatori. Queste piante, spesso, manifestano la loro tossicita’ con un sapore amaro. Ma contemporaneamente ci sono gli animali, che hanno un’altra battaglia da vincere, quella contro parassiti, virus e batteri. E’ probabile che uno di loro, ammalato, abbia assaggiato per caso una pianta amara e tossica e ne abbia ottenuto un vantaggio. Da qui l’associazione tra pianta amara e guarigione e’ stato facile».
L’associazione e’ molto diffusa?
«Si’. E non e’ un compito all’altezza solo dei primati, ma anche di animali come le capre. In un test si e’ visto come siano in grado di associare tre diverse cure a tre diverse patologie indotte dagli sperimentatori. Significa che imparano a quale rimedio ricorrere a seconda del disagio fisico».
L’automedicazione e’ un fenomeno standard?
«Da quando la scienza si e’ soffermata sull’uso farmacologico di alcune piante da parte degli animali, ogni anno si scoprono nuove specie capaci di autocurarsi. Ma, secondo me, l’automedicazione e’ presente quasi in ogni specie. E non deve sorprenderci: credo che chi impara a difendersi dai parassiti e dalle infezioni, grazie alla conoscenza degli effetti benefici di alcune piante, sia evolutivamente vincente. E il discorso vale non solo per scimpanze’ e gorilla di cui mi occupo, ma anche per gli insetti. Alcune larve, quando sono infestate da parassiti, modificano i loro gusti e mangiano una pianta velenosa, che e’ un anche un antiparassitario».
Come ha capito che alcune piante venivano usate dagli scimpanze’ come cura?
«Vent’anni fa, osservando un gruppo di scimpanze’ delle Montagne di Mahale, in Tanzania, notai che una femmina, Chausiki, restava separata dal gruppo, non rispondeva ai richiami del suo piccolo, dormiva quasi sempre e non mangiava. Poi, a fatica, si alzo’ e si fermo’ accanto a un cespuglio di Vernonia amygdalina, famosa per la sua tossicita’. Prese un ramo e, tolta la corteccia, ne succhio’ il midollo. Non avrei prestato molta attenzione a questo comportamento, se non fosse stata la mia guida, Mohamedi Seifu, a dirmi che per la sua tribu’ quella pianta era un medicinale usato per curarsi da infezioni, malaria, dissenteria amebica e anche per liberarsi dai parassiti. L’osservazione, unita al fatto che Chausiki si ristabili’ in 24 ore, fu illuminante».
Le conoscenze non si limitano a quale pianta usare, ma a quale parte scegliere e a come ingerirla. Come lo sanno?
«Dipende dalla specie. Per le larve di insetti si tratta di istinto. Per altri animali, come i primati, sembra che imparino grazie alla combinazione tra l’osservazione dei comportamenti altrui e l’associazione nel momento in cui stanno male. Nel primo caso la “conoscenza” fa parte del pool genetico, nel secondo fa parte di una sorta di “cultura”».
Lei si occupa anche di etnofarmacologia e studia i farmaci naturali. Gli animali hanno ispirato i nostri antenati?
«Credo di si’. Per centinaia di migliaia di anni l’uomo ha osservato i comportamenti degli animali malati e il fatto e’ testimoniato da leggende e racconti. Per i Navajo, nel Sud-Ovest degli attuali Usa, e’ stato l’orso bruno a svelare il segreto delle proprieta’ curative del Ligusticum, pianta usata per curare molte infezioni batteriche».
La medicina, quindi, e’ anche legata all’alimentazione.
«Il confine cibo-medicine e’ sottile. Molte societa’ sono dipendenti dalle piante sia per l’alimentazione sia per le medicine. Tra gli Hausa della Nigeria il 30% delle piante commestibili e’ usato come farmaco».
Qual e’ la differenza, allora, tra noi e gli altri primati?
«Nelle scimmie non e’ mai stato notato il tentativo di somministrare a un compagno una pianta. Siamo l’unica specie che cura il prossimo».
Fonte: www.lastampa.it