La letteratura, cosi’ come l’arte, sono costellate di meravigliosi, commoventi, intensi e divertenti ritratti del rapporto tra l’uomo e gli animali. Indimenticabili pagine sono state dedicate dai grandi scrittori di tutti i tempi all’universo, ancora in buona parte da esplorare, degli animali con i quali per caso o per scelta ci siamo trovati a condividere parte della nostra esistenza.
Anche se leggere un estratto e’ appena sufficiente ad assaporare l’atmosfera che un romanzo crea e descrive e a farci venire la voglia di leggerlo per intero, abbiamo pensato di selezionarne qualcuno e di proporvelo. Alcuni di questi brani li ricorderete senz’altro, perche’ consacrati da secoli di notorieta’, altri avrete desiderato di leggerli, ma ancora non ne avete avuto l’occasione; altri ancora vi risulteranno, lo speriamo, del tutto sconosciuti, perche’ rimasti celati in una delle pieghe della nostra cultura. In ciascuno di questi casi, ci auguriamo che la loro lettura non vi lasci indifferenti.

La prima “favola della buona notte” che vi proponiamo e’ un passaggio di Cane e padrone, il racconto intimo e autobiografico che Thomas Mann, l’autore di romanzi come Guerra e pace e Anna Karenina, ha dedicato al suo rapporto con Bauschan, un meticcio di bracco tedesco al quale lo scrittore fu tenacemente attaccato…

“Quando la bella stagione fa onore al proprio nome e il cinguettar degli uccelli e’ riuscito a svegliarmi di buon’ora, perche’ il giorno precedente l’avevo terminato a tempo debito, mi piace, prima di colazione, camminar senza cappello per mezz’oretta all’aperto, nel viale davanti alla casa, oppure negli ampi prati, per respirare qualche boccata della fresca aria mattutina avanti d’immergermi nel lavoro, e per partecipare un po’ alle gioie del limpido mattino. Poi, sui gradini, che portano all’uscio di casa, lancio un fischio modulato su due note, simile alla melodia iniziale del secondo movimento della sinfonia incompiuta di Schubert, un segnale che si puo’ considerare pressappoco come la musica a un nome di due sillabe. Un istante dopo, mentre continuo a camminare verso la porta del giardino, si ode lontano, in principio appena percettibile, nondimeno sempre piu’ vicino e piu’ chiaro, un leggero scampanellio, come quello che puo’ risultare dallo sbattere d’una medaglietta contro le borchie metalliche d’un collare; e, quando mi volto, vedo Bauschan in piena corsa svoltare all’angolo posteriore della casa e precipitarsi su di me quasi intendesse buttarmi a terra. Per la fatica, ritira un po’ il labbro inferiore cosi’ da scoprire due o tre dei suoi incisivi, che luccicano d’un bianco splendido al sole mattutino.
Viene dalla cuccia che si trova li’ dietro, sotto l’impiantito della veranda sostenuta da pilastri, e dove forse, fino al bisillabo fischio, si e’ fatto un breve pisolino mattinale dopo una notte passata tra mille avvenimenti. La cuccia e’ fornita di tende di stoffa ruvida e ricoperta di paglia, per cui accade che qualche fuscello resti attaccato al pelo di Bauschan, per giunta arruffato un po’ dal giacere, oppure gli si vada addirittura a ficcare tra le unghie delle zampe: uno spettacolo che ogni volta mi ricorda il vecchio conte Moor, visto un tempo, durante una rappresentazione singolarmente realistica, uscire dalla torre della fame con un fuscello di paglia tra due dita calzate dei suoi poveri piedi. Senza volere mi giro di fianco verso l’irruente, in posizione difensiva, perche’ la sua pseudo-intenzione di passarmi tra i piedi e di farmi cadere ha potenza illusoria infallibile. All’ultimo momento pero’, e immediatamente prima dell’urto, riesce a frenare e a deviare, cosa che dimostra il suo autocontrollo tanto fisico che psichico; a questo punto, senza abbaiare perche’ fa uso parsimonioso della sua voce sonora ed espressiva, prende ad eseguire intorno a me una sconvolta danza di saluto composta di saltelli, di smoderato scodinzolio, che non si limita allo strumento espressivo destinato a questo scopo, cioe’ la coda, ma coinvolge tutta la parte posteriore fino alle costole, e di contrazioni inanellanti del corpo e pure di capriole scattanti e centrifughe cui si aggiungono giri sul proprio asse, esibizioni tutte che lui pero’ usa sottrarre ai miei sguardi, eseguendole sempre, dovunque io mi volti, dalla parte opposta alla mia.
Tuttavia nell’istante in cui mi chino e tendo la mano, eccolo all’improvviso, con un salto, accanto a me, il corpo premuto al mio stinco, fermo come una statua: si regge appoggiato di traverso, le forti zampe puntate sul terreno, il muso alzato verso di me, cosi’ che mi guarda negli occhi alla rovescia e dal basso in alto, e la sua immobilita’, mentre gli accarezzo la spalla tra parole buone e a mezza voce, emana attenzione e eccitamento uguali a quelli della frenesia precedente…”


(Cane e padrone di Thomas Mann, Garzanti 2008)